Genitorialità

Siamo davvero una società senza padri?

 Un luogo comune ha molte funzioni. Semplifica, riassume, ma molto spesso banalizza, appiattisce, rifiuta i distinguo e l’analisi.


E’ abbastanza usuale sentire parlare della nostra società come una società senza padri. In effetti i padri delle nostre generazioni sono in una profonda crisi di identità. Nessuno può negarlo.

I padri di oggi non hanno la possibilità di svolgere ed interpretare il loro ruolo rifacendosi agli esempi dei loro padri e dei loro nonni, non tanto perché i nostri padri o i nostri nonni siano stati necessariamente disastrosi, quanto perché il loro modo di fare i padri potrebbe essere stato efficace per i loro tempi ma non è assolutamente spendibile ai giorni nostri.

Diciamo che dal ’68 in poi il mondo della paternità è stato travolto dalla messa in discussione dell’autorità ed è stato raso al suolo. Da allora ha dovuto cominciare a ricostruirsi, a ricostituirsi un identità. E’ mia convinzione che tutte le generazioni di padri dal ’68 in poi siano state generazioni di pionieri, di sperimentatori e credo che questa condizione di indeterminatezza i padri se la porteranno dietro ancora per molte generazioni. Il ruolo di padre non è ancora chiaro che perimetro dovrà avere, che immagine dovrà assumere e – soprattutto – non è ancora chiaro quale sia il nuovo parametro di riferimento che stabilisca ciò che è virile e ciò che non lo è.
Non è, cioè, ancora chiaro se determinati ruoli, determinate mansioni, determinate peculiarità – che i nuovi padri stanno affrontando e sviluppando – siano universalmente accettate come maschili. Mentre alla base della società compaiono numerosissimi padri che hanno deciso di entrare nelle mansioni di cura e di relazione affettiva con i loro figli fin dal primo minuto di vita e hanno creato uno stile di vita che prevede che queste mansioni diventino una parte integrante della loro esistenza - e molto spesso ne diventino il perno se non addirittura la realizzazione - pare che gli stereotipi presentati dai media, dalla società in generale ed ancora presenti nelle considerazioni delle generazioni passate (vedi nonni e genitori dei padri stessi) facciano più fatica ad abbandonare la vecchia impostazione che vedeva tutto il mondo bambino di pertinenza delle mamme.
Abbiamo quindi padri che fanno i papà in maniera coinvolta e completa, quindi sono al centro del proprio ruolo, ed abbiamo una società che non li considera virili e non riconosce loro pienamente un ruolo determinante nella crescita dei figli.
Per fortuna stanno arrivando i primi studi che dimostrano come gli stili di attaccamento e lo sviluppo emotivo-relazionale dei bambini non è più, come era stato dimostrato un tempo, direttamente ed esclusivamente discendente dallo stile di attaccamento e dalla maturità emotivo-relazionale della mamma, ma è derivazione dall’insieme delle caratteristiche di ambedue i genitori.
I padri che entrano in maniera completa ed efficace nella cura e nella relazione affettiva dei figli incidono nella loro formazione psichica e affettiva.
Poi ci sono le madri, che il luogo comune ha dimenticato di menzionare.
Anche le madri sono in piena crisi di identità, perché portano sulle spalle i modelli educativi di mamme e nonne (la teoria sistemica ritiene che in ciascun soggetto siano presenti i modelli di almeno due generazioni precedenti) ma stanno cercando di fare le madri in tutt’altra maniera. Anche loro, nel destreggiarsi tra il desiderio di dedicarsi alla maternità e al desiderio di realizzare la propria potenzialità in ambito professionale, non hanno nessun aiuto dall’esempio delle loro madri e nonne. Anche nella più moderna delle nonne non si possono trovare risposte adeguate per vivere la femminilità divise tra lavoro, casa e famiglia così come lo stiamo cercando di fare ai giorni nostri. Mai come ai giorni nostri è necessario che la mamma sappia, possa e riesca a delegare l’educazione e la cura dei propri figli al marito, in prima istanza, e poi a tutti gli operatori ai quali deve rivolgersi per poter tornare a lavorare. Mai come ai giorni nostri il periodo nel quale la mamma riesce a stare vicino al proprio piccolo è stato breve. Abbiamo famiglie che sono costrette a portare il bimbo al nido già a 6 mesi, cosa un tempo impensabile. Mai come ai giorni nostri, le mamme si sono trovate in una situazione familiare nella quale i ruoli sono stati divisi in maniera così orizzontale, intendendo con questo la divisione dei ruoli che prevede che ciascuno dei due genitori sia capace di svolgere sia il ruolo normativo sia quello affettivo.
E’ interessante domandarci allora quanto la società faccia sentire al centro del proprio ruolo una donna che non è più la mamma perfetta che magari le mamme di un tempo o le nonne sono state, dedicando la loro vita interamente all’educazione dei figli e non è – spesso – la manager che giustifica, col suo successo, la sua assenza da casa con una professione di assoluta rilevanza. La realtà di tutti i giorni ci presenta donne che tornano a lavorare part-time ottenendo a volte stipendi che per più della metà vengono poi spesi per asili, tate ed aiuti vari. Allora questa mamma avrà nelle orecchie le frasi di sua madre e sua nonna che le chiedono se il gioco valga la candela.
Anche queste mamme sono in cerca di un identità, anche queste mamme stanno cercando di ridisegnarsi un ruolo e stanno aspettando che la società dia una risposta in termini di servizi per dar loro una mano e la smetta di accettare discriminazioni in ambito lavorativo e finisca questa pietosa presentazione di stereotipi (soprattutto sui media) che presentano la donna sempre in posizione subordinata.
Ecco allora che forse lo stereotipo dal quale siamo partiti potrebbe essere riscritto.
La nostra – forse – non è una generazione senza padri, ma è una generazione con genitori senza radici. Una generazione di genitori intenta a costruire una nuova società senza poter appoggiarsi sul passato ma potendo solo guardare in avanti verso il futuro, con tutta l’incertezza che questo comporta.

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